15 ANNI DI JUDO PER DISABILI MENTALI

 

Un lunedì invernale, freddo assoluto. La mia sveglia al mattino è alle 6,30. Buio pesto.

Sveglio mio figlio, 13 anni, e facciamo colazione. Lo accompagno a scuola in macchina come al solito e lui mi dice di tenerlo a casa perché è stanco, io gli dico che anch’io sono stanca ma che la vita va avanti e tutti devono fare la loro parte. Lui replica che infatti lui DEVE andare a scuola…e per me invece, la solita fortunata (!!!!!) non ci sono obblighi. Gli dico che vado dai disabili per la lezione di judo e lui obietta “MA CHI TE LO FA FARE…col freddo, con la cervicale, col raffreddore….”

In realtà la cosa è incominciata quasi 10 anni fa, ma non posso dire per caso.

Dopo 4 anni senza judo avevo deciso di ricominciare a praticare, ma a causa degli impegni familiari, potevo farlo solo la mattina… e pur di poter continuare a farlo con il Maestro Barioli… beh, c’era il corso dei disabili. In realtà non mi sentivo molto diversa da loro… ero fuori allenamento, piuttosto cicciotella, anche tecnicamente non ero propriamente nelle condizioni di insegnare nulla a nessuno. Ma da un certo punto di vista il judo è come la bicicletta…non si può dimenticare e il corpo presto incomincia a ricordarsi i movimenti che ha ripetuto centinaia di volte.

La compagnia poi, diciamocelo… era proprio piacevole. Ragazzi simpatici, col cuore grande che sembravano avere un gran piacere nel praticare con me. Educatrici preparate e pimpanti che rispondevano ai miei quesiti e soddisfacevano il mio bisogno di capire un mondo che mi interessava ma di cui sapevo poco. Allora c’erano anche tanti altri volontari che poi gli impegni di lavoro hanno allontanato progressivamente dalla lezione mattutina con i disabili. E poi che dire del Maestro Barioli… un luminare, il migliore, una guida sicura e non penso proprio di esagerare.

Io non sono certo eroica… anzi… ho patito il freddo, i colpi maldestri, ho vissuto le molte tristezze provocate dai vari fatti della vita che fatalmente si condividono quando si pratica insieme.

Ci sono dei momenti in cui si capisce che si stanno vivendo i principi del judo, che gli insegnamenti di Kano non sono vuote parole, ma che effettivamente stanno passando attraverso il corpo, la mente, il cuore.

La Via del Judo è una proposta di autorealizzazione per essere utili (dare per crescere e crescere per dare di più). Ecco che secondo me in questo potrebbe anche leggersi un messaggio di integrazione per i disabili, diciamo pure un invito a sfruttare al meglio le doti che Madre Natura ha concesso loro. Questo non soltanto per riuscire ad alleggerire economicamente la famiglia procurando uno stipendio grazie all’integrazione lavorativa, ma diciamo anche e soprattutto per dare un contributo al miglioramento di questo pianeta che ci ospita tutti, fin troppo benevolmente.

E per noi cosiddetti normodotati il discorso sostanzialmente non cambia, l’atteggiamento che ci muove a praticare con il disabile non può e non deve ridursi a compiere la classica buona azione, perché quest’atteggiamento non ne favorisce l’autorealizzazione ed in compenso nutre il nostro ego peggiore. E’ corretto invece insegnare, col corpo ancor prima che con le parole, ad affrontare la realtà, fornire i mezzi per la comprensione di essa, sorvegliare che la lezione dell’Universo non sia troppo dura… in parole povere cercare, ad esempio, di impedire che nello sperimentare i risultati della legge di gravità qualcuno cadendo si faccia troppo male. Ma un po’ di fastidio aiuta a cercare di fare meglio!

Forse anch’io sono stata e sono utile sulla materassina, ho cercato soprattutto di insegnare con il corpo, guidata dal cuore. Ma la mente non poteva restare disattivata, naturalmente. Con essa ho cercato di imparare quanto potevo dall’esperienza del maestro e da chi ne sapeva più di me. Essa mi aiutava a vigilare e prevedere l’imprevedibile per impedire incidenti. Anch’io ho cercato di impiegare nel migliore dei modi la mia non proprio abbondante energia, ho sperimentato tattiche che hanno avuto successo e altre che ne hanno avute meno... ma ho fatto tesoro dell’insuccesso.

In pratica ho vissuto e vivo la gioia del dare e, anche se non avevo chiesto nulla, mi è stato restituito tutto con gli interessi, come mi capita spesso perché sono una persona molto fortunata!

Fortunata anche ad avere questo pigro figlio che nelle fredde mattine d’inverno mi costringe ad uscire di casa ed incominciare la giornata… nella speranza che valga in qualche modo l’esempio.