Rielaborazione di un articolo pubblicato su "L’Ottavo Giorno", rivista dell’Associazione Sindrome di Down di Verona (AGBD) - anno 4° nr. 3-4 Sett. / Dic. 2002

JUDO, DOWN E ALTRI

Un po' di storia.

L'esperienza francese.

Il M° Claude Combe, un judoista di spirito tradizionalista che non intendeva lo sport esclusivamente come competizione, ha iniziato al judo 4 down che presentavano disturbi associati (caratteriali, diabetici e motori) a Aulnay (Grenoble) nel 1966.

Nel '68, al congresso medico organizzato dalla Federazione Francese Judo e Discipline Assimilate (FFJDA) presso l'Istituto Nazionale di Sport, potè provare che la sua esperienza era conclusiva: questa disciplina poteva e doveva essere praticata dai disabili mentali. Aveva superato le obiezioni postegli dai benpensanti, dai genitori e dagli sportivi, che lo accusavano di essere fanatico e pericoloso!

Di conseguenza lavorò come interno in istituti specializzati, giungendo a gestire il Judo di 130 disabili in 5 Istituti Medico-Pedagogici dell'AFIPAEIM (Ass. Familiare Dipartimentale dell'Isère per l'assistenza ai ragazzi infermi mentali).

Particolarmente interessante è la sua relazione sui metodi tecnici usati e sui risultati raggiunti, presentata all'annuale congresso della FFJDA al termine della stagione '74.

Nel '92 erano 150 i maestri di Judo francesi qualificati nell'insegnamento ai disabili mentali.

I pionieri italiani. Grazie all'aiuto del Lion Club Milano Borromeo, che organizzava la manifestazione "I Giovani per i Giovani", grande kermesse che presenta agli studenti milanesi lo sport dei disabili, il Judo Club BU-SEN di Milano ha potuto contattare il M° Combe, invitarlo a più riprese per conferenze e dimostrazioni con i suoi ragazzi, inviare 8 insegnanti di Judo e un medico a Grenoble per una settimana intensiva a tempo pieno negli Istituti francesi (1981). E di conseguenza promuovere questo aspetto del Judo in Italia.

Siamo a conoscenza di gruppi spontanei sorti a Cremona, a Bresso, a Socco, a Genova, a Trento, a Mestre, a Padova, a Bologna, a Bergamo, a Siena, a Prato, a Ragusa, che si prodigano privatamente, o appoggiati ad Enti Locali (ULSS, Regione, Provincia, Comune).

La lezione di Combe dice che dobbiamo lavorare per loro, per i disabili, non per il Judo. Dal suo esempio nasce la figura del tecnico integrato in un esercito di "educatori" specializzati, medici, psicologi. Nasce l'aggiornamento professionale e lo studio di problemi medici. Si lavora in parallelo con altri specialisti sportivi, con gli insegnanti di scuola per fornire materiali ed esperienze con cui l'individuo possa edificare se stesso ed esprimere se stesso, per attuare un processo educativo inteso ad aiutare a dare il meglio di sé.

Non importa chi sia l'Altro, e non ha importanza quante e quali siano le sue risorse. Ciò che conta è far sì che le possa sfruttare, tutte e nel modo migliore. E' la strada che ha seguito il M° Combe. Non cercando di trasformare gli allievi in individui simili a noi, ma cercando di far sì che possano essere pienamente se stessi.

Il maestro Cesare Barioli (pioniere a Milano dell'attività a favore dei disabili e riferimento del vero Judo in Italia) l'ha definita un'avventura meravigliosa per conoscere se stessi. Se ne diceva attratto e allo stesso tempo spaventato. Di colpo gli era apparso evidente che noi, i Down e gli infermi mentali apparteniamo alla stessa matrice, solo che noi controlliamo certi meccanismi e loro no.

Non posso che essere d'accordo con lui perché anch'io mi sono accorto che i ragazzi Down presentano tanti piccoli aspetti che sono i nostri, che sono i miei. In loro trovo una parte di me stesso e nella riflessione la possibilità di percepire tutta una dimensione della vita che generalmente è trascurata nel mondo moderno.

La nostra esperienza attuale s'inserisce in questo filone. Dalla collaborazione tra Kyu Shin Dojo e AGBD potrà certamente emergere un'ulteriore contributo allo sviluppo delle conoscenze specifiche e nuovo impulso ad iniziative simili in Italia.

Ad esempio il nostro lavoro e quello di chi ci ha preceduto potranno essere oggetto di studi e ricerche per tesi di laurea (un primo contatto è già stato avviato).

In settembre sono riprese presso il dojo le lezioni per il nostro gruppo e devo dire che reincontrarsi, riprendere la pratica sul tatami è stato evento allietato da manifestazioni d'entusiasmo. Senza dubbio fino al prossimo giugno continueremo il nostro progetto anche con l'idea di approntare e da subito usare delle specifiche griglie d'osservazione dello sviluppo dell'attenzione, conoscenza e gestione del corpo in movimento, rapidità di azione, resistenza, capacità di collaborazione, socializzazione e autonomia. Vorremmo evitare di lasciare tutto affidato a generiche osservazioni. Queste ultime si possono sempre fare ma è certamente meglio inquadrarle in un contesto di maggiore oggettività.

Proprio l'esperienza e la competenza degli operatori in AGBD possono costituire risorsa determinante per l'elaborazione di una o più griglie d'osservazione che siano valido strumento di conoscenza e di confronto e risolvano infine l'inevitabile genericità delle osservazioni dell'insegnante di judo e/o dei genitori.

Per ora limitiamoci a raccontare quello che è già stato fatto, discusso e acquisito. Per farlo riporto stralci di una lettera del prof. Vittorio Pappini, insegnante di educazione fisica e maestro di Judo di Milano, che ben assolve il compito.

"..Un’altra conclusione a cui si è giunti con l'esperienza dell'insegnamento del judo, soprattutto nel nord-Italia, è che viene organizzato un gruppo di disabili il più possibile omogeneo per età (da 8 a 12, adulti, o ragazzi e giovani, o bambini), arricchito da persone che partecipano per aiutarli (judoisti, parenti e amici anche principianti). Dopo un periodo, che evidentemente varia da gruppo a gruppo, si organizzano manifestazioni pubbliche; si ospitano visitatori e gruppi; si esce in visita ad altre palestre; si partecipa a gare idonee; e si frequentano stages con soggiorno di una sola notte, fino a un’intera settimana il cui programma comprende il judo e altre attività.

La visione della scuola italiana in cui il disabile è inserito fin dall’inizio in una classe di normodotati, non rappresenta l’ideale per l’apprendimento del judo, anche se talvolta non si può fare altro, e in tal caso si consiglia di accettare un massimo di due disabili in una classe di circa 20 normodotati.."

Nel primo incontro con le famiglie in AGBD ci offrimmo di avviare un corso per ragazzi dai 16 anni in su ma anche l'inserimento di 1 bambino Down (9-12 anni) nel corso per bambini di KSD. L'offerta è ancora valida!

"..La grande differenza che l’insegnante incontra nei corsi per disabili è la nozione del tempo, enormemente diversa. La caduta rotolata che un ragazzo medio arriva a fare in tre mesi, per un disabile down sovrappeso può richiedere anni. Attenzione: con qualche rara eccezione in cui il disabile vede eseguire la caduta e la riproduce sul momento, perfetta, senza dover passare per gli esercizi educativi che ne graduano la difficoltà per il normodotato!

Esiste una federazione del CONI che si occupa dello sport dei disabili fisici e mentali, ma le sue visioni sono tinte di esaltazione olimpica e le gare di judo per disabili mentali si ispirano ai corrispondenti campionati degli atleti con effetti umoristici. Come un Campionato italiano in cui maschi e femmine erano divisi per categorie di peso, di età, di graduazione e di livello di handicap. Cioè centinaia di titoli in palio per una trentina di partecipanti!.."

Le gare che si organizzano nel settore privato che è nato dal contatto col Maestro Combe, partono dalla suddivisione dei partecipanti per livello di handicap:

Queste 5 categorie usate per le gare servono di indicazione agli insegnanti facendo misurare il progresso degli allievi nella direzione:

  1. acquistare il senso di opposizione,
  2. imparare ad effettuare l’attacco,
  3. combinare l’azione in base alla reazione dell’altro,
  4. raggiungere quell’integrazione relativa che permette l’inserimento tra i normodotati.

Questo è il programma d’insegnamento, che non tiene conto della quantità delle nozioni apprese e dei passaggi di classe (il colore delle cinture).

"..Un tacito accordo internazionale stabilisce che la popolazione di gara possa appartenere alle 5 classi (cintura gialla, arancione, verde, blu e marrone), mentre la cintura nera può essere accordata come un riconoscimento e un onore ai disabili che non gareggiano più per ragioni d’età.

Non si disputano campionati tra i disabili mentali. Ma in Francia qualcuno di essi ha vinto in gare ufficiali provinciali e regionali di categoria (fino a cintura verde), confondendosi con i tanti immigrati del sud-est asiatico (perché è proibito a un disabile partecipare nelle gare di normodotati).."

Cosa ottengono i disabili col judo

Diciamo che senza promettere di intervenire sui disturbi gravi della personalità, sia di origine nevrotica che psicotica, si affrontano col judo i blocchi affettivi che si manifestano sotto forma d'inibizione, d’ansietà, di tendenze depressive, di atteggiamenti caratteriali.

Insegnando il judo a questi ragazzi si osserva l’azione educativa dell’universo (in fondo l’educatore è solo il moderatore di questo, che sorveglia come l’azione educativa dell’universo non sia troppo blanda o eccessiva). Il miglioramento della personalità è in relazione con l’acquisizione dinamica della conoscenza del corpo e della struttura spaziale fondata su sensazioni sperimentate, sul movimento, sulle necessità di compiere gesti precisi e coordinati, sull’imparare a cadere (vincere una paura innata, con componenti indotte) sul difendersi… addirittura sull’attaccare (cioè con l’esprimere corporalmente un atteggiamento aggressivo), sul partecipare alla vita del gruppo, alla sua esistenza simbolica.

Nella relazione che il prof. Piero Benini ha presentato al Lyon Club Borromeo, organizzatore per dieci anni della manifestazione I Giovani per i Giovani a favore dei disabili, i vantaggi derivanti dalla pratica del judo sono così riassunti:

E’ vero che tutto questo è ottenibile con altre pratiche, ma il segreto del judo è che da molti (non da tutti) viene accettato entusiasticamente.

Come lo ottengono

  1. Gli spogliatoi. La lezione di judo comincia e finisce negli spogliatoi. Se le famiglie curano di escludere bottoni e chiusure poco accessibili sul dorso, bretelle o lacci difficili da maneggiare, tutti i ragazzi imparano presto a gestirsi. Un problema è allacciare i pantaloni e fare un corretto nodo piano alla cintura.
  2. Sul tatami c’è il rituale del saluto con la peculiare disposizione per classe judoistica, e un comportamento su cui non si transige. Come per i normodotati s'insegnano bilateralmente certe tecniche particolarmente formative (di anca e di spalla), lasciando poi che nell’esercizio libero (randori) ciascuno si esprima secondo la sua tendenza.
  3. La presa di coscienza dello spazio è comune a normodotati e disabili. Certi esercizi richiedono di predisporre lo spazio necessario all’esecuzione.
  4. L’apprendimento corporeo è essenziale e soprattutto la lotta al suolo permette di scoprire i movimenti del corpo, l’uso di testa, braccia e gambe.
  5. Con qualche fantasia l’insegnante insegna a usare le nozioni di quantità e di valore, facendo leva sui programmi per gli esami dei passaggi di classe.
  6. Vi sono degli argomenti che emergono proprio nel judo, comuni in genere ai Down e frequenti nei ritardati (presenti anche talvolta nei normodotati), come la mancanza del senso di opposizione o l’incapacità di tenere un avversario immobilizzato al suolo. E’ grande soddisfazione per l’insegnante e i suoi assistenti vedere come – nel tempo – l’atteggiamento scorretto si attenua e avviene la comprensione corporea.
  7. Quando è possibile uno scambio d’opinioni e magari una strategia comune con gli altri operatori (dai familiari, agli educatori e professori, e ai compagni di scuola) si può ambire a risultati eclatanti. L’insegnante di judo può risollevare il morale di un disabile che è stato sgridato a scuola. Si possono vincere delle resistenze di apprendimento, richiedendo che il giovane legga, scriva, o disegni per conquistarsi la sua cintura gialla o superiore. Si può ottenere un comportamento più controllato ed educato facendo leva sull’orgoglio di judoista. D’altro canto l’insegnante di judo ha bisogno di collaborazione per ottenere che certi down diventino meno pigri (e ha bisogno di aiuto per metterli a dieta).

Chiuderei con l'invito ai laureandi ad attivarsi subito per poter fare un percorso insieme. Nei limiti del possibile ritengo che questa o queste persone dovrebbero essere disponibili a frequentare il corso. Uno dei nostri principi pedagogici è che non ci si può fidare del semplice capire della mente ma è necessario giungere alla "comprensione" nell'unità di corpo, mente e cuore. E come in tutte le esperienze significative si comincia dal corpo.

 

Claudio Sanna