Riflessioni relative alla pratica del judo con i disabili

 

LAVORARE MEGLIO

Gli atteggiamenti che il ragazzo disabile manifesta in palestra sono spesso il riflesso del vissuto casalingo a cui si è abituato e che si è consolidato nella sua struttura mentale.

Abbiamo potuto osservare che, in generale, dopo naturalmente quelli costituiti dalle limitazioni intrinseche alla patologia, il maggior ostacolo che si pone all’istruttore è costituito dalla PIGRIZIA.

Il ragazzo disabile è spesso estremamente pigro poiché in casa è stato abituato a non partecipare in nessun modo alle incombenze familiari. Certamente questa deresponsabilizzazione è dovuta al fatto che il genitore non si fida di come il ragazzo potrebbe svolgere l’incombenza affidata e quindi rinuncia in partenza. Spesso anche l’iperprotettività svolge una funzione deterrente nello sviluppo del ragazzo. Nel tentativo di tenerlo fuori da ogni possibile pericolo, in realtà gli si nega la possibilità di cimentarsi nell’avventura di vivere. Questi gravi errori rafforzano il senso di insicurezza del ragazzo facendolo sentire inadeguato e quindi allontanando ancora una volta la sua possibilità di integrazione.

Molto più proficuo sarebbe introdurre per gradi il giovane alle piccole mansioni domestiche che possono essere alla sua portata.

Riportando il  discorso al tatami quale potrebbe essere il contributo dell’istruttore a superare i cattivi atteggiamenti domestici? COINVOLGIMENTO è la parola magica.

Il tatami ha bisogno di essere tenuto pulito, quindi perché non coinvolgere i ragazzi nella periodica pulizia, magari suddividendo le prime volte i compiti tra quelli che sembrano più attivi, in maniera che anche i più restii si sentano chiamati in causa?

L’istruttore può anche coinvolgere i ragazzi nel riordino degli spogliatoi prima ancora di iniziare l’ora di judo: un periodico controllo di quanto disordine sono stati in grado di produrre i ragazzi cambiandosi rivela a volte delle situazioni veramente catastrofiche, e ci pare che ogni tanto una ramanzina su questo argomento non potrebbe che sortire risultati positivi. Tra l’altro queste attività svolte in gruppo rafforzano il senso del fare insieme qualcosa di produttivo che è uno dei principi educativi del judo: TUTTI  INSIEME PER CRESCERE E PROGREDIRE.

A volte anche lo svolgimento di compiti a casa, tipo allenarsi a fare il nodo alla cintura nonché produrre disegni a tema  potrebbero stimolare favorevolmente il superamento della pigrizia.

Siamo purtroppo consci che il sovrappeso di alcune categorie di disabili è spesso caratteristica intrinseca della loro malattia, ma è pur vero anche che ad esso bisogna pur sempre cercare di porre un limite.

Spesso la pigrizia è infatti determinata anche dall’eccessiva fatica richiesta per movimentare un fisico pesante. Qui siamo di fronte al classico caso del gatto che si morde la coda: più sono grassi, meno si muovono, meno si muovono e più ingrassano!

Sappiamo per esperienza anche noi cosiddetti normodotati quanto il cibo possa risarcirci di un malessere e di una tristezza nel vivere quotidiano… i dolci in particolar modo… e per i disabili il discorso non cambia. Inoltre sono le famiglie stesse che incoraggiano la golosità perché garantisce certamente una miglior pace familiare. Ma noi come possiamo fare ad ottenere un certo dimagrimento? Naturalmente spesso consigliare la dieta a casa non funziona, sul tatami non si può tirare la corda della salutare sudata più di tanto perché a volte le cardiopatie lo rendono sconsigliabile.

Non si può negare che non abbiamo molti assi nella manica… con le ragazze forse qualche complimento in più se si nota un certo trend di dimagrimento… qualche volta giova anche con i ragazzi… ma  è chiaro che con i bambini queste manovre non attaccano e il richiamo al cioccolato prende sempre il sopravvento.

Non ci resta che tentare il discorso della miglior funzionalità del corpo quando esso è in forma. Quando il corpo risponde meglio le soddisfazioni non mancano… ma non possono essere solo quelle dell’autocompiacimento. Con infinita pazienza si può tentare di spiegare che se si è troppo pesanti il compagno fatica a sollevarci, la caduta è sempre un po’ più violenta, rialzarsi non è molto agevole, i pantaloni stentano a contenere le forme.

 

NELLO SPOGLIATOIO

Il primo impatto del disabile al judo è costituito proprio dal cambio d’abito.

Per praticare occorre una sosta in spogliatoio, bisogna infilarsi una tenuta abbastanza complessa, molto meno comprensibile di una tuta da ginnastica. Questa fase è già di per sé un banco di prova dei risultati ottenuti con il gruppo ed evidenzia tanto la maggiore o minore perizia quanto il grado di collaborazione che possa dimostrare il singolo nei confronti dell’altro.

Spesso si nota una certa apatia, il cambio avviene in tempi molto lunghi o necessita di interventi esterni in sussidio. Questo dipende in primo luogo da come i ragazzi sono stati abituati a casa.

Alcuni dopo anni non hanno ancora imparato a fare il nodo alla cintura. Molto dipende effettivamente dalle possibilità personali, ma in parte è anche dovuto al fatto che, essendoci poco tempo mediamente per praticare judo,  l’istruttore stesso o qualche altro ragazzo si fanno carico di annodare la cintura di chi non riesce. Certamente sarebbe buona regola che ciascuno provvedesse a sé, in modo da favorire lo sviluppo di una certa autonomia… ma come ogni regola sulla via dell’adattabilità anche questa ha la sua eccezione, se fare il nodo occupa un’ora…

Sempre nello spogliatoio si ha talvolta occasione di osservare una certa carenza di igiene… judogi sporchi, magliette grigiastre, calze e mutande non proprio immacolate.

La pigrizia a volte è anche alla base della carenza di igiene  che spesso caratterizza il ragazzo, in particolare se disabile. Anche qui se è auspicabile che l’atteggiamento della famiglia sia vigile, non possiamo negare che spesso la negligenza in questo settore è proprio mutuata da essa.

Quando il judogi non è pulito la cosa può essere spiacevole, come pure sgradevole è l’odore di piedi non lavati… ma certamente non si tratta di cose pericolose.

Ovviamente il rispetto per il compagno passa anche dal fatto di non emanare odori molesti e quindi in quest’ottica è chiaro che vada senza dubbio incentivata la pulizia.

Ma quello su cui non si può assolutamente transigere è sul taglio delle unghie, perché la loro lunghezza è pericolosa per sé e per gli altri, generando inevitabilmente graffi o piccole ferite. Credo possibile un miglioramento di questa situazione se si stimolano i ragazzi a vigilare a che l’altro sia in ordine, portando periodicamente l’attenzione su questo soggetto al momento di salire sul tatami.

Personalmente controllo anche che le ragazze non indossino forcine o gioielli, tendo a far raccogliere i capelli lunghi, anche i ragazzi a volte si dimenticano di sfilare occhiali o orologi, è buona regola puntualizzare sempre che, nell’ottica del rispetto, è assolutamente indispensabile non essere di nocumento al compagno di pratica. 

 

UMORI VARIABILI

Ogni giorno è un nuovo giorno… il disabile è ancor più soggetto del normodotato a cambi improvvisi e repentini di umore determinati dalle più varie ragioni.

Una ramanzina che normalmente non provocherebbe neppure un’alzata di sopracciglia a volte scatena una repentina crisi di pianto, una fuga nello spogliatoio, il rifiuto assoluto di muoversi.

Questi meccanismi si attivano talvolta senza apparenti motivi, eppure essi esistono sempre, a volte sono anche molto gravi (malattie di genitori, lutti…) anche se non è raro che il malumore del lunedì derivi dalla perdita della squadra del cuore. Tra i ragazzi in genere esiste una certa solidarietà di fronte al dolore dell’altro, quasi sempre l’istruttore viene avvertito di queste tristezze da un compagno sensibile. In questi casi l’indifferenza non è umanamente praticabile, mentre il contatto fisico e visivo affettuoso può essere di grande conforto. Il rischio che si corre in questi casi è di compatire fin troppo il malcapitato e giustificarne gli atteggiamenti a tal punto da incoraggiarlo a crogiolarsi caparbiamente nella sofferenza pur di continuare ad essere coccolato. A volte anche la distrazione dell’afflitto tramite affidamento di un compito complesso come la dimostrazione di una tecnica agli altri può sortire buoni risultati, ma solo nei casi meno gravi.

Anche gli amori tra ragazzi costituiscono un fattore di mutamento umorale di una certa rilevanza.

Non possiamo ignorare che l’affettività e la sessualità rivestano un ruolo importante anche nelle reazioni dei disabili, essi infatti non sono assoggettati come i  normodotati al vigile controllo della mente e sono propensi a vivere le sensazioni di cuore e corpo in maniera totalizzante. Personalmente sono sempre piuttosto intenerita dal manifestarsi di questi eventi, anche se non posso far altro che richiamare all’ordine il sentimentale di turno, pregandolo di ricondurre le sue manifestazioni ad  un contesto adeguato e comunque diverso dal tatami. Comunque non si può negare che alle volte sembra proprio di chiedere troppo… le stesse situazioni corporee che si creano durante la lotta a terra mettono a dura prova il controllo degli ormoni giovanili. Non resta che separare le coppie un po’ troppo focose senza  peraltro drammatizzare.

 

IL PASSAGGIO DI CINTURA

Anche se avvengono piuttosto di rado, a testimonianza che il tempo ha poca importanza quando si ha a che fare con i disabili, i passaggi di cintura costituiscono senza dubbio momenti di grande importanza sul tatami.

Generalmente si tenta di allertare anticipatamente i ragazzi sul tema e di provocare quindi un intensificarsi del loro sforzo per il raggiungimento dell’obiettivo. In molti casi si è potuto riscontrare che essi ben comprendono ed associano il miglioramento tecnico al conseguimento di una cintura di grado più elevato.

I passaggi di cintura possono avvenire tramite esami o subito dopo una gara. In entrambi i casi fanno seguito ad un periodo di allenamento più intenso, in cui i ragazzi devono innanzitutto dimostrare il loro impegno.

Naturalmente l’istruttore è conscio dei limiti di ognuno e sa cosa può logicamente aspettarsi, ma spesso rimane favorevolmente colpito dal fervere di attività che accompagna i momenti immediatamente antecedenti ad un esame o ad una gara. Sono momenti magici in cui i ragazzi appaiono come galvanizzati, i più bravi trascinano anche gli altri e si può osservare persino un sottile velo di sudore imperlarne le fronti…cosa che accade veramente di rado.

Non si può negare che il tema della cintura rivesta sempre una certa importanza e dato che i ragazzi, nella maggioranza dei casi, ne comprendono il valore, essa può essere promessa qualora venga tenuto un certo comportamento, si manifesti la maturità necessaria, si impari a fare qualcosa in più del solito.

La cintura di grado maggiore è spesso motivo di vanto e quindi per converso anche di invidia per coloro che ritengono di meritarla ma ancora non l’hanno ricevuta. Del resto vedere che il compagno la mette in bella mostra può essere uno stimolo ad un maggiore sforzo.

Per coloro che sono riusciti nell’intento di conquistarne una è certamente una bella gratificazione, ma costituisce anche in questo caso uno stimolo alla dimostrazione che si vale veramente quanto rappresentato dal cambio di colore sulla cintura. Alcuni ragazzi del nostro gruppo che hanno raggiunto la cintura marrone mi chiedono spesso quando potranno avere la nera, vogliono provare la mia per vedere come stanno…non ho mai capito se desiderano fare il saluto dalla parte dei maestri, se desiderano pavoneggiarsi con essa in occasione delle gare dove spesso si incontrano disabili cintura nera o se pensano che con essa potrebbero essere abilitati all’insegnamento.

Quale che sia la motivazione, può essere che tutto concorra a formarla, la cosa certa è che nella maggioranza dei casi è una grande gioia ricevere la cintura di grado superiore, ed in genere la minaccia, ovviamente mai messa in atto, di essere degradati costituisce a volte un deterrente al perpetrarsi di atteggiamenti pigri o maleducati.